ASD Fukuro Roma: dove lo sport diventa inclusione, relazione e cura delle piccole cose

ASD FUKURO ROMA

Quando si parla di sport spesso l’attenzione si concentra solo su medaglie, risultati e prestazioni. Ma all’interno di ASD Fukuro Roma, lo sport assume un volto diverso: Alla Fukuro Roma sono abituati a pensare allo sport come a un percorso, più che a una prestazione. La Asd Fukuro Roma tiene molto all’aspetto umano e alla crescita di ogni persona. In particolare, emerge con forza l’impegno verso i ragazzi con disabilità intellettivo-relazionale, e il desiderio di includere, accompagnare, motivare, dare valore anche alle “piccole cose” che spesso vengono date per scontate. Fukuro Roma porta avanti diversi programmi dedicati all’inclusione, dal judo per ragazzi con disabilità intellettivo-relazionale alle iniziative svolte in collaborazione con il Comitato Italiano Paralimpico (CIP). Progetti che non rimangono dichiarazioni d’intenti, ma diventano pratica quotidiana.

Nella palestra di Fukuro Roma, i traguardi non si misurano solo in medaglie. Una buona ukemi (caduta), un passo avanti nella coordinazione, un esercizio memorizzato dopo molte prove: sono queste le vittorie che contano davvero. Ogni progresso, anche minimo, viene celebrato. Ogni sforzo viene riconosciuto.
Ogni atleta viene messo nelle condizioni di imparare, secondo i propri tempi. È una visione che restituisce alla pratica sportiva il suo significato più autentico: uno strumento per crescere, non per competere.

L’aspetto umano dell’insegnamento: oltre la tecnica. A fare la differenza, però, non sono solo i progetti. È il clima.
È lo sguardo degli istruttori, la pazienza, l’attenzione ai gesti minimi. L’allenatore non si limita a spiegare una tecnica: osserva, ascolta, accompagna.
Sono momenti che per molti potrebbero sembrare piccoli, quasi banali, invece sono questi dettagli a costruire fiducia, motivazione, autostima. Ciò che emerge entrando nel mondo di Fukuro Roma è la sensazione di essere di fronte a una comunità, non a una semplice associazione sportiva.
Genitori, istruttori, volontari, ragazzi: ognuno partecipa alla costruzione di un ambiente in cui lo sport è un mezzo per creare legami, abbattere barriere e promuovere cultura sociale. ASD Fukuro Roma rappresenta un modello virtuoso di come una società sportiva possa trasformarsi in un presidio sociale, educativo e umano. Una realtà che merita di essere raccontata e che può ispirare tante altre realtà italiane a seguire la stessa strada.

https://www.fukuro.it/

 

VIDAS: Volontari Italiani Domiciliari per l’Assistenza ai Sofferenti

VIDAS: la speranza che non abbandona

Fondata a Milano nel 1982, VIDAS è la risposta concreta a una domanda profonda: “Chi starà con me, quando sarà davvero difficile?” Da oltre quarant’anni l’associazione è accanto ai malati inguaribili e alle loro famiglie. A sostenere i malati ci sono volontari selezionati e formati, perché è proprio nella relazione, nel tempo dedicato, che la cura diventa qualcosa di più di un protocollo: diventa relazione che protegge.  Ogni gesto la regolazione di un farmaco, un massaggio per sciogliere una contrattura, un supporto psicologico, un colloquio sul senso di ciò che si sta vivendo restituisce alla persona la possibilità di sentirsi ancora soggetto, non solo paziente. Il sostegno non finisce con l’ultimo respiro: VIDAS offre anche percorsi gratuiti di supporto al lutto, perché chi resta non venga lasciato solo nel silenzio delle domande e del dolore. 

C’è chi arriva alle cure palliative con un senso di sconfitta: “Non c’è più niente da fare”. Ma è proprio qui che queste cure dimostrano la loro forza rivoluzionaria: c’è ancora moltissimo da fare.

Le testimonianze dei familiari seguiti da VIDAS parlano di “luogo di poesia”, di “ultimo tratto di vita vissuto con dignità, serenità, rispetto”. Sono parole che raccontano quanto le cure giuste, nel momento giusto, possano trasformare l’ultima fase della vita in un tempo comunque pieno: pieno di gesti, di sguardi, di “ti voglio bene” che forse non si erano mai trovati il coraggio di dire prima. Un diritto, non un favore

In una stanza d’ospedale, in un salotto di casa, in un corridoio dove il tempo sembra fermarsi, la cura cambia il volto della sofferenza. Le terapie non sono solo farmaci, flebo, monitor. Sono mani, sguardi, parole che dicono a chi sta lottando: “Tu conti, fino all’ultimo istante.” È questo il cuore delle cure palliative e di supporto: non promettono miracoli, ma garantiscono qualcosa di altrettanto prezioso – dignità, sollievo, presenza. In Italia, realtà come VIDAS hanno deciso di fare di questo impegno una missione quotidiana: offrire assistenza completa e gratuita ai malati inguaribili, a casa e negli hospice, grazie a équipe multidisciplinari che si prendono cura non solo del corpo, ma anche dell’anima del paziente e della sua famiglia. Oltre la malattia: la persona al centro  Associazioni come VIDAS non sostituiscono il sistema sanitario, ma lo completano, lo umanizzano, lo rendono capace di vedere l’intera persona, non solo la diagnosi.

Sostenere queste realtà significa difendere un’idea di società in cui nessuno viene lasciato solo nell’ora più difficile. Significa dire, che il valore di una vita non si misura in anni, ma nella qualità di ogni singolo giorno, fino alla fine.

Le immagini di medici e infermieri che si chinano sul letto di un malato, di volontari che ascoltano in silenzio, di familiari sostenuti nel loro dolore, sono più che scene di assistenza: sono fotografie di civiltà. Parlare di queste cure e di realtà come VIDAS significa dare voce a chi, ogni giorno, lavora perché la sofferenza non abbia l’ultima parola. Finché qualcuno si prende cura di te, la tua vita è riconosciuta, rispettata, amata. E questo, forse, è il modo più grande che abbiamo per dire: la tua vita conta, fino all’ultimo respiro.

Dedico questo articolo a Viviana ovunque si trovi, per il suo esempio di forza e per i suoi cari che soffrono per il distacco.

http://www.Vidas.it

UICI:Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti sezione di Imperia

 

Sanremo si apre ai sensi: la mostra “Visione oltre la luce” racconta il mondo con occhi diversi

C’è un modo di vedere che non ha bisogno della vista. È quello che insegna l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti della Sezione di Imperia (UICI), che da anni lavora con impegno sul territorio per promuovere inclusione, autonomia e consapevolezza.
A dicembre, questa importante realtà porterà a Sanremo, negli spazi suggestivi del Forte di Santa Tecla, una mostra che promette di toccare il cuore: “Visione oltre la luce”, un viaggio sensoriale nel buio per scoprire quanto il mondo possa essere percepito attraverso i suoni, i profumi, il tatto e le emozioni.

Un’esperienza che accende la percezione

Dal 4 al 21 dicembre 2025, i visitatori saranno guidati in un percorso immersivo dove la luce lascia spazio ai sensi. Non si tratta solo di una mostra, ma di un’esperienza che invita a cambiare prospettiva, a mettersi letteralmente nei panni di chi vive ogni giorno senza vedere, ma non per questo “al buio”. Ogni passo sarà un modo per riscoprire la ricchezza del sentire, per capire che la visione più autentica non passa dagli occhi, ma dal cuore.

Il ruolo dell’UICI di Imperia
L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Imperia è una presenza costante per tante persone che convivono con una disabilità visiva. L’associazione offre supporto pratico e psicologico, consulenze e orientamento, formazione professionale, attività culturali e ricreative, oltre a iniziative di prevenzione visiva nelle scuole e nella comunità. Ogni progetto nasce da un’idea semplice ma potente: costruire una società più accessibile, dove le differenze diventino valore e non ostacolo.
Visione oltre la luce” non è solo un evento, ma un messaggio di speranza e di empatia. È un invito ad aprire i sensi, ma soprattutto la mente e il cuore, per scoprire che la vera luce è quella che illumina l’anima. A Forte Santa Tecla, la cultura incontra l’inclusione e trasforma la diversità in una forma d’arte.

https://youtu.be/N_Ql8Vzsa5M?si=3RkAfZTCMEytcd2P

La Lampada dei Desideri: Un faro d’inclusione nel cuore di Roma

Una luce che accende speranza

C’è un angolo a Roma, nel quartiere della Magliana, che racconta con delicatezza quanto sia potente il desiderio di essere visti, riconosciuti e accolti. È la storia dell’associazione La Lampada dei Desideri: un luogo che è casa, che è famiglia, che è un “posto unico includente”. È la storia di La Lampada dei Desideri, associazione di volontariato fondata nel 2012 nel quartiere della Magliana, con lo scopo di dare voce, spazio e autonomia alle persone con disabilità del territorio della ASL Roma D. L’idea prende forma grazie a un gruppo di genitori fra cui spicca la figura di Paola Fanzini  con figli con disabilità: desideravano creare un luogo nel quale queste persone non fossero soltanto «assistite», ma diventassero parte attiva del tessuto sociale locale.
Così in Piazza Certaldo 68/77, Roma 00146, l’associazione prende avvio, con una convinta scelta: nessuna età o patologia vincolanti, nessuna dipendenza esclusiva dagli enti pubblici. “Amore, libertà e tempo” diventano tre parole-chiave per definire la loro visione.  Più che un ente, La Lampada dei Desideri si definisce “casa” e “famiglia”. Paola Fanzini afferma che «La Lampada dei desideri per me è tutto: è famiglia, è casa, è cura. È amore puro e incondizionato».
Questa definizione è significativa: rompe con la logica della mera assistenza e propone una comunità dove il tempo non è scandito da orari rigidi, dove l’essere e l’agire non sono subordinati a modelli predeterminati, ma nascono insieme. Certamente, come tutte le realtà di questo tipo, La Lampada dei Desideri convive con difficoltà: risorse limitate, dipendenza dal volontariato, la necessità di una rete stabile. Tuttavia, queste stesse sfide diventano motore: perché la partecipazione non è delegata, è pensata, vissuta, in continuo divenire.
Un esempio concreto: il progetto di scrittura collettiva, con illustrazioni e libri per bambini realizzati da persone con disabilità, nel quale è l’utente che decide cosa fare, come farlo, quali ruoli assumere. In un contesto urbano come quello della Magliana, caratterizzato da marginalità e complessità sociali, la Lampada rappresenta un presidio di speranza, una testimonianza che l’inclusione non è solo bene da fare, ma bene comune da costruire. Al piano terra dell’edificio, gli ambienti sono stati pensati  o trasformati per offrire diverse funzioni: Una biblioteca/internet point, gestita anche da ragazzi con disabilità, perché la cultura e l’accesso all’informazione non siano un privilegio ma un diritto. Laboratori: cucina, botanica, shiatsu, zumba chair, fotografia, pittura, manualità e oggettistica. Un ventaglio di esperienze destinate a far emergere capacità, interessi, talenti. Uno spazio destinato ad eventi feste, cineforum, convegni, concerti che consacra il principio: non solo “accoglienza”, ma sviluppo di comunità e partecipazione sociale. Un progetto molto concreto, il “pub” interno denominato DiversamentePub, dove i ragazzi collaborano ai turni, mangiano insieme, gestiscono l’ambiente, e al termine la suddivisione dell’incasso avviene fra tutti gli operatori coinvolti: un passo verso la dignità del lavoro associato all’inclusione. Ma la Lampada ci ricorda un altro paradigma: persone non solo bisogni; relazioni non solo servizi; tempo e libertà  non solo protocolli. Ecco perché vale la pena raccontarla: perché tocca tematiche universali appartenenza, dignità, comunità e ci sfida a ragionare su cosa significhi davvero Inclusione.