La Lampada dei Desideri: Un faro d’inclusione nel cuore di Roma

Una luce che accende speranza

C’è un angolo a Roma, nel quartiere della Magliana, che racconta con delicatezza quanto sia potente il desiderio di essere visti, riconosciuti e accolti. È la storia dell’associazione La Lampada dei Desideri: un luogo che è casa, che è famiglia, che è un “posto unico includente”. È la storia di La Lampada dei Desideri, associazione di volontariato fondata nel 2012 nel quartiere della Magliana, con lo scopo di dare voce, spazio e autonomia alle persone con disabilità del territorio della ASL Roma D. L’idea prende forma grazie a un gruppo di genitori fra cui spicca la figura di Paola Fanzini  con figli con disabilità: desideravano creare un luogo nel quale queste persone non fossero soltanto «assistite», ma diventassero parte attiva del tessuto sociale locale.
Così in Piazza Certaldo 68/77, Roma 00146, l’associazione prende avvio, con una convinta scelta: nessuna età o patologia vincolanti, nessuna dipendenza esclusiva dagli enti pubblici. “Amore, libertà e tempo” diventano tre parole-chiave per definire la loro visione.  Più che un ente, La Lampada dei Desideri si definisce “casa” e “famiglia”. Paola Fanzini afferma che «La Lampada dei desideri per me è tutto: è famiglia, è casa, è cura. È amore puro e incondizionato».
Questa definizione è significativa: rompe con la logica della mera assistenza e propone una comunità dove il tempo non è scandito da orari rigidi, dove l’essere e l’agire non sono subordinati a modelli predeterminati, ma nascono insieme. Certamente, come tutte le realtà di questo tipo, La Lampada dei Desideri convive con difficoltà: risorse limitate, dipendenza dal volontariato, la necessità di una rete stabile. Tuttavia, queste stesse sfide diventano motore: perché la partecipazione non è delegata, è pensata, vissuta, in continuo divenire.
Un esempio concreto: il progetto di scrittura collettiva, con illustrazioni e libri per bambini realizzati da persone con disabilità, nel quale è l’utente che decide cosa fare, come farlo, quali ruoli assumere. In un contesto urbano come quello della Magliana, caratterizzato da marginalità e complessità sociali, la Lampada rappresenta un presidio di speranza, una testimonianza che l’inclusione non è solo bene da fare, ma bene comune da costruire. Al piano terra dell’edificio, gli ambienti sono stati pensati  o trasformati per offrire diverse funzioni: Una biblioteca/internet point, gestita anche da ragazzi con disabilità, perché la cultura e l’accesso all’informazione non siano un privilegio ma un diritto. Laboratori: cucina, botanica, shiatsu, zumba chair, fotografia, pittura, manualità e oggettistica. Un ventaglio di esperienze destinate a far emergere capacità, interessi, talenti. Uno spazio destinato ad eventi feste, cineforum, convegni, concerti che consacra il principio: non solo “accoglienza”, ma sviluppo di comunità e partecipazione sociale. Un progetto molto concreto, il “pub” interno denominato DiversamentePub, dove i ragazzi collaborano ai turni, mangiano insieme, gestiscono l’ambiente, e al termine la suddivisione dell’incasso avviene fra tutti gli operatori coinvolti: un passo verso la dignità del lavoro associato all’inclusione. Ma la Lampada ci ricorda un altro paradigma: persone non solo bisogni; relazioni non solo servizi; tempo e libertà  non solo protocolli. Ecco perché vale la pena raccontarla: perché tocca tematiche universali appartenenza, dignità, comunità e ci sfida a ragionare su cosa significhi davvero Inclusione.

 

Cani Guida: Occhi Fedeli e un Simbolo di Libertà

 

Un cane guida ti cambia la vita. Parla Vittorio Ilario Biglia, Referente Nazionale settore Cani Guida GDL4

Per una persona non vedente, l’incontro con il proprio cane guida è uno di quelli indimenticabili 
Un passo alla volta, una zampa alla volta, nasce una relazione fatta di fiducia, rispetto e libertà.
Ne parliamo con Vittorio Ilario Biglia, Referente Nazionale del settore Cani Guida Gdl4, che da anni si batte per i diritti di queste coppie speciali.

Signor Biglia, che cosa rappresenta un cane guida per chi non vede? Un cane guida è molto più di un aiuto: è una parte di te.Ti dà sicurezza, ti accompagna, ma soprattutto ti restituisce la libertà di  muoverti nel mondo. Quando una persona non vedente tiene quella maniglia, non tiene solo un guinzaglio: tiene in mano la propria indipendenza. È un legame che non si spiega, si vive.”

Non è facile però ottenere un cane guida, vero?

No, non è facile. In Italia ci sono ancora poche scuole specializzate e tante richieste.
Servono mesi, a volte anni, per addestrare un cane e trovare la persona giusta per lui.
È un lavoro delicato, fatto di pazienza, sensibilità e professionalità. Ma quando il binomio si forma, nasce qualcosa di magico: due esseri viventi che diventano una cosa sola.

Ancora oggi, ci sono luoghi che negano l’accesso ai cani guida…? Purtroppo sì.
Nonostante la legge parli chiaro. La Legge 37 del 1974 garantisce il libero accesso in tutti i luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto  accade ancora che un cieco venga fermato all’ingresso di un bar o di un taxi. È un gesto che ferisce, perché significa non capire. Il cane guida non è un intruso, è un compagno di viaggio. Quella persona ha il diritto di entrare ovunque, come chiunque altro.”

Cosa dovrebbe sapere chi incontra una persona con il cane guida?

La prima cosa da sapere è non toccare mai il cane mentre lavora. Non va accarezzato, né chiamato, né distratto. Durante la guida, il cane è concentrato: protegge il suo conduttore e ogni distrazione può essere pericolosa. E poi non bisogna avere paura: sono animali dolcissimi, addestrati con grande attenzione, puliti e vaccinati. Sono veri professionisti, solo che al posto della divisa indossano una pettorina.”

Che cosa direbbe a chi pensa che il cane guida sia un privilegio?

Non è un privilegio, è un diritto. È come un bastone, come un ausilio tecnologico, come una sedia a rotelle: è uno strumento per vivere meglio. Avere un cane guida non significa avere qualcosa in più, ma qualcosa di essenziale. Significa poter vivere con dignità, con autonomia, con gioia. Cosa serve oggi, secondo lei, per migliorare davvero la situazione? Serve cultura, prima di tutto.
Bisogna educare le persone, insegnare ai bambini che il cane guida non si tocca, che ha diritto di passare per primo, che non è un animale qualsiasi. E poi servono più risorse per le scuole di addestramento e più sostegno per chi ne ha bisogno. Perché la libertà non deve mai essere un lusso.”

Un messaggio finale?

Guardate una persona non vedente che cammina col suo cane: quello è un piccolo miracolo quotidiano. Due esseri viventi che si capiscono senza parole.

 

Roma Altruista

L’altruismo prende forma nella città eterna

Nel cuore pulsante di Roma, c’è uno spazio che si illumina di generosità: RomAltruista, il portale del volontariato flessibile. Non è un’associazione qualunque. È una piattaforma che sa cogliere la voglia di fare del bene, la voglia di “esserci”, anche solo per poche ore. Qui si incontrano vite e speranze. Sul sito si leggono messaggi semplici ma forti: “Vuoi fare volontariato a Roma?” Non serve essere super-eroi. Basta la voglia di esserci. E la bellezza è che tutto è organizzato in modo dinamico: basta una ricerca di eventi, una prenotazione e qualche ora libera. Gli appuntamenti sono palpitanti e reali: dalla preparazione dei pasti per chi vive in difficoltà, agli interventi per i minori, alla cura degli animali, alla tutela dell’ambiente. Ogni iniziativa è un invito esplicito a partecipare, donare un po’ del proprio tempo. Associazione RomAltruista è innovativa per il suo modello di flessibilità, si può trovare un’occasione adatta al proprio tempo, alle proprie possibilità. Inclusione: non serve un curriculum di competenze specialistiche; l’importante è esserci, umanamente. Impatto Reale: non si tratta di astrazioni, ma di “fare” accanto a chi ha bisogno. Infine si crea una Comunità, si entra a far parte di una rete fatta di altri volontari, di associazioni beneficiarie e di cittadini che rispondono.

In un mondo in cui l’indifferenza spaventa, RomAltruista  offre l’opportunità di rispondere con un “sì” concreto, e dicambiare in meglio anche solo un momento la giornata di qualcuno. Ritengo che fare il volontariato non è solo donare; è ricevere, imparare e condividere.

https://www.romaltruista.it/listing

 

Marco Fasanella: un cromosoma in più e una marcia in più

Chi è Marco Fasanella

Ci sono storie che commuovono e che ispirano. Tra queste, quella di Marco Fasanella risuona come un inno alla vita, un manifesto di forza, passione e speranza. In lui convivono sogni, calci, pagine scritte e un sorriso che non si spegne mai. Marco Fasanella è un giovane milanese che convive con la sindrome di Down, ma per lui questa condizione non è una barriera: è una spinta, una marcia in più. Nato nell’aprile del 1991, vive a Corsico, nella cintura urbana di Milano. La sua vita è fatta di molti volti: atleta nella nazionale italiana FISDIR di calcio a 5, autore, barista, e ora anche performer nel mondo del teatro. Ma prima di tutto, Marco è  come lui stesso ama dire un ragazzo che ama la vita. Il campo è casa: lo sport come sacrificio e gioia. Il calcio lo ha portato oltre i propri limiti, là dove la squadra diventa famiglia e le battaglie diventano sfide collettive. Marco si è unito alla nazionale FISDIR qualche anno fa dopo aver superato le selezioni. Con la maglia azzurra ha partecipato a tornei internazionali — Trisomie Games (vittoria nel 2016), Europei 2018, Mondiali 2017 (dove ha alzato il trofeo da campione) e altri appuntamenti. Il 2017 resta una pietra miliare: nel Mondiale di calcio a 5 per persone con sindrome di Down, la nazionale italiana ha vinto, e a Marco è stata donata la maglia numero 10 per il suo compleanno (14 aprile).

Ma non si ferma sul campo da gioco. Marco lavora come barista e, con grande dedizione, ha insegnato ad altri il mestiere: un impegno concreto e quotidiano, fatto di relazioni, sorrisi, lavoro e sudore.

“Per non lasciare indietro nessuno”

Nel 2022 Marco ha coronato un altro grande sogno: ha pubblicato il suo primo libro Per non lasciare indietro nessuno. Sindrome di Down: un cromosoma e una marcia in più. In circa 85 pagine, racconta la sua storia le difficoltà, le gioie, i sogni, l’amore e la passione per lo sport  e manda un messaggio chiaro: la sindrome di Down non è un freno. È una risorsa, una possibilità di guardare il mondo con occhi particolari. Ha parlato di sogni grandi, e spera davvero che la politica lavori davvero per non lasciare indietro nessuno. Il nostro amico Marco non si è fermato neanche davanti a un palcoscenico. Ha debuttato in teatro con lo spettacolo Pinocchio Rock, il ragazzo di legno, al Teatro Delfino di Milano. Lì, con il corpo e la voce, ha tolto le etichette e mostrato che ogni persona ha storie da raccontare, merita di essere vista e ascoltata.

Cosa ci insegna Marco

Abbracciare la differenza! Il vero limite non è un cromosoma in più, ma la chiusura mentale. Marco ci ricorda che l’inclusione nasce dal rispetto e dall’incontro.  Sognare e agire! Non basta desiderare: bisogna mettersi in cammino. Marco non ha aspettato che altri scrivessero per lui la sua storia: l’ha scritta con le sue mani, con il suo cuore. Lo sport come scuola di vita! Il campo insegna il rispetto, il sacrificio, la squadra. E non importa “chi fai parte”: importa che tu dia il massimo.  La cultura come percorso d’identità! Scrivere, recitare, raccontarsi: questi atti ci danno sostanza. Farlo vuol dire assumere il proprio potere, accettarsi e affermarsi. Leggendo la storia di Marco Fasanella pensiamo a quante voci non si sentono, quanti sogni vengono nascosti o ignorati. Ma lui ha scelto di farsi vedere, di mettere a nudo la propria vita con coraggio. Nessuno è perfetto, ma ognuno ha valore. E la storia di Marco è un invito: a non restare spettatori, a camminare assieme, a fare spazio nel mondo per chi  secondo la società potrebbe essere “diverso”.

Ho Conosciuto Marco..

Ci sono persone che, quando le incontri, ti lasciano qualcosa dentro.  Non per quello che possiedono, ma per ciò che trasmettono. Marco è una di quelle persone.Un ragazzo pieno di gioia, con un sorriso che illumina e una voglia di vivere che travolge chiunque gli stia accanto. Lo guardi e capisci subito che non è uno che si accontenta: lui vuole spaccare il mondo, ma lo vuole fare a modo suo con amore, arte e autenticità. Marco è un vulcano di idee, un’esplosione di energia positiva. Ama la musica italiana, quella che sa raccontare la vita con parole semplici e vere. Ama scrivere poesie, mettere nero su bianco i suoi pensieri, le sue speranze, le sue battaglie. Perché Marco non scrive solo per sé: scrive per tutti noi. Il messaggio che porta avanti è chiaro, forte e necessario:

Il mondo è bello. Basta guerra, basta mafie, basta bullismo soprattutto verso chi è più fragile.”

Nei suoi scritti e nella sua vita quotidiana, Marco invita a guardare oltre la disabilità, a vedere la persona prima della condizione. Ci ricorda che ogni individuo ha un valore unico, un talento, una luce che merita di essere riconosciuta. Lui lo sa bene, perché quella luce l’ha imparata a vederla prima di tutto dentro di sé, grazie a una famiglia che gli ha insegnato l’amore vero: quello che non giudica, che accoglie, che incoraggia. E oggi Marco porta quel modello fuori, nel mondo. Lo porta con le sue parole, con i suoi gesti, con la sua presenza luminosa. In un’epoca in cui è facile puntare il dito e difficile aprire il cuore, Marco ci ricorda che la gentilezza è rivoluzionaria, che la diversità è una ricchezza, e che la vita, nonostante tutto, resta una meravigliosa avventura da condividere. Marco non è solo un ragazzo pieno di sogni. È un esempio vivente di speranza.

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