Fragilità e forza: il lavoro visto con gli occhi di chi vive la disabilità

Disabili e lavoro: un cammino pieno di ostacoli ma anche di speranza

Qusto è un tema che ho gia affrontato in un altro articolo. In quella occasione mi sono soffermato sul diritto al lavoro e sulla sia dignità come lavoratore. Oggi invece voglio parlarvi dell suo aspetto emotivo. Nessuno ti chiede come stia veramente.. le persone commettono l’errore di concentrarsi solo sulla maschera che indossiamo ogni giorno.

Entrare e restare nel mondo del lavoro è difficile per molte persone. Ma per chi vive con una disabilità, questo percorso spesso diventa ancora più complicato. Le difficoltà iniziano già dalla ricerca di un’occupazione. I colloqui possono trasformarsi in momenti carichi di ansia: non sempre i selezionatori hanno la sensibilità di guardare oltre la disabilità e riconoscere prima di tutto le competenze. Molti datori di lavoro temono costi aggiuntivi, assenze o cali di produttività. Spesso manca una reale conoscenza di ciò che una persona disabile può portare in termini di professionalità, impegno e talento. Anche dopo l’assunzione, gli ostacoli non finiscono. Ci sono barriere architettoniche che rendono faticoso o impossibile raggiungere il posto di lavoro, spazi non accessibili o strumenti non adatti. Ma le barriere più dure non sono solo fisiche: sono culturali. La diffidenza, i pregiudizi, le battute fuori luogo possono creare isolamento e rendere l’ambiente pesante. A tutto questo si aggiunge la fragilità emotiva di chi, ogni giorno, deve dimostrare il doppio per sentirsi “accettato”. C’è chi si sente un peso, chi ha paura di perdere il lavoro per un peggioramento della salute, chi rinuncia persino a candidarsi per non affrontare sguardi giudicanti. Eppure, laddove ci sono apertura, empatia e inclusione, i risultati sorprendono. Un ambiente di lavoro che accoglie la diversità diventa più ricco, creativo e umano. Molti lavoratori con disabilità sviluppano una resilienza e una capacità di adattamento che diventano risorse preziose per l’intera squadra. Il diritto al lavoro non è solo un articolo di legge: è dignità, indipendenza, possibilità di sentirsi parte della società. Per questo servono politiche concrete, aziende coraggiose e soprattutto uno sguardo nuovo, capace di vedere la persona prima della disabilità. Il lavoro è un ponte verso l’autonomia e la realizzazione personale. Nessuno dovrebbe sentirsi escluso da questo cammino.

 

Invisibili, ma non Assenti

L’Assenza che si sente per strada

Quando cammino per strada, c’è qualcosa che mi colpisce sempre: la quasi totale assenza di persone in carrozzina. Non credo davvero che non ci siano. Anzi, so bene che ci sono. Ma la verità è che non hanno le condizioni per uscire, per vivere la città come facciamo noi, con leggerezza e autonomia. Mi basta osservare per capirlo: una rampa che non c’è, un marciapiede troppo stretto, un negozio con tre scalini all’ingresso e nessuna alternativa. Persino le piccole cose come un bar accogliente all’angolo diventano muri invisibili che ti impediscono di entrare. E allora l’uscita non è più un piacere, diventa una lotta. Penso spesso a quanto dev’essere frustrante dover chiedere aiuto per ogni minimo spostamento. Per prendere un caffè, per fare la spesa, per attraversare la strada. Quella libertà che molti di noi danno per scontata, per altri è un lusso negato. E così le strade restano vuote di carrozzine, e sembra che le persone disabili non ci siano. Ma non è vero. Sono a casa, costrette a guardare la vita scorrere dalle finestre. Non per scelta, ma per colpa delle barriere che noi abbiamo lasciato lì, giorno dopo giorno, senza pensare a quanto possano escludere. A volte mi chiedo: come sarebbe la mia città se davvero fosse accessibile? La immagino piena di incontri, di diversità visibili, di sorrisi scambiati all’uscita di un negozio o in fila alla posta. Una città più viva, più giusta, più umana. Forse l’assenza che sento per strada non è un vuoto, ma un richiamo: un invito a non dimenticare chi non può esserci. Perché l’invisibilità non è mai una condizione naturale, è sempre il risultato di uno sguardo che non vuole vedere o di una società che non si è ancora davvero aperta.

Antinea III: quando il mare diventa un abbraccio che include tutti

Quando le vele parlano di speranza: nasce Antinea III”

Sulla riva di Savona, nella Darsena accogliente di una città che ha dato il suo cuore alla cultura e al mare, ieri  mercoledì 3 settembre 2025  è stata inaugurata Antinea III, una barca a vela accessibile a tutte le persone, pensata per regalare libertà e bellezza anche a chi vive con disabilità fisiche o cognitive . È una giornata che sa di speranza, di onde che diventano ponti verso nuove possibilità. Antinea III non è un semplice veliero: è un gesto concreto di inclusione, un invito a riscrivere il significato di autonomia. Promossa dall’Assonautica Provinciale di Savona, l’iniziativa ha radici profonde: l’imbarcazione, acquistata nel 1995 da Roberto Pisani, è stata generosamente donata dopo trent’anni per dar vita a un progetto che trascende il tempo e i confini . Perché una barca a vela? Lo spiega  il Presidente di Assonautica, Giovanni Bauckneht: la vela non è solo un modo di navigare, ma un atto che unisce e migliora l’autostima. L’esperienza è aperta ad adulti, bambini e ragazzi, per i quali l’uscita in mare diventa una preziosa scuola di vita. Ogni uscita è una narrazione del mare, un’eco di antichi saperi e di responsabilità condivisa . Il progetto non è isolato, ma si inserisce in un orizzonte più grande di solidarietà: Bauckneht cita con orgoglio altre iniziative, come quella del brigantino Nave Italia, che porta a vela ragazzi con difficoltà, riaffermando ogni volta che il mare ha il potere di rigenerarci . Con Antinea III, la vela diventa simbolo. Simbolo di una società che sceglie di accogliere, di restituire dignità, di rimettere in gioco la bellezza ― quella potenza che si rinnova ogni volta che un sorriso si apre tra le onde. Questa barca è un’occasione per tessere comunità: per attraversare storie, condividere sapere, imparare la cura e sperimentare un mare che insegna libertà e responsabilità.

In un mondo che spesso isola, Antinea III traccia rotte di inclusione. Qui il vento non è solo forza motrice, ma messaggero di speranza. Qui il mare non separa, ma unisce. E qui ogni persona può tornare a «navigare» verso sogni che forse credeva lontani.

Essere Disabili: Imparare a Chiedere

Ho Bisogno di Te

Essere disabili significa pure imparare a chiedere.  C’è un filo sottile che lega la dignità e la fragilità, il desiderio di autonomia e la necessità di dipendere dagli altri. Spesso chi convive con una disabilità si trova a camminare proprio su quel filo, in equilibrio tra due mondi che la società fatica ancora a comprendere fino in fondo. “Essere disabili significa pure imparare a chiedere.” Questa frase custodisce un grande insegnamento: la richiesta d’aiuto non è una resa, ma un atto di coraggio.

Viviamo in una cultura che esalta l’indipendenza come se fosse l’unico traguardo possibile. Ma la verità è che nessuno di noi è davvero indipendente: ci sorreggiamo a vicenda, invisibilmente, ogni giorno. Per una persona disabile, questo legame diventa più visibile, più tangibile. Non è debolezza, ma consapevolezza: la forza sta proprio nel riconoscere che il nostro valore non diminuisce quando tendiamo la mano a qualcuno. Imparare a chiedere significa accettare la propria umanità. Significa comprendere che dietro ogni richiesta c’è un bisogno autentico, e dietro ogni risposta ci può essere amore, solidarietà, cura. È un cammino che insegna a spogliarsi della vergogna, a trasformare l’imbarazzo in dialogo, la paura di pesare sugli altri in una nuova forma di fiducia reciproca.

Chiedere è anche donare: a chi riceve la richiesta viene data l’opportunità di essere utile, di entrare in relazione, di abbattere muri di solitudine. È un invito a scoprire che la vulnerabilità non divide, ma unisce. Forse, allora, dovremmo tutti imparare da chi vive con una disabilità. Imparare che non c’è niente di più umano, e di più forte, del dire: “Ho bisogno di te”