La storia di Marco Priolo, tra identità, sport e sogni olimpici

“Sono ancora sul pezzo”:

Dietro a una frase semplice come “Sono ancora sul pezzo” c’è molto più di una buona condizione atletica. C’è una vita intera. C’è la storia di Marco Priolo, atleta paralimpico di snowboard, originario del Monregalese, che negli anni ha saputo trasformare la disabilità in una strada possibile, concreta, faticosa ma profondamente sua. Priolo ha un braccio amputato, una condizione che avrebbe potuto allontanarlo dallo sport ad alto livello e sconfiggerlo moralmente. Marco Invece, grazie alla passione, alla disciplina e a una determinazione costruita giorno dopo giorno, lo ha portato a vestire più volte la maglia della Nazionale italiana paralimpica. Non senza difficoltà, non senza pause, non senza momenti in cui il futuro sembrava incerto.

La sua carriera non è stata una corsa in discesa. Ci sono stati stop, cambiamenti, fasi di ripensamento e la fatica di rimettersi in discussione. Ma Priolo ha continuato ad allenarsi, spesso lontano dai riflettori, scegliendo di restare fedele a ciò che lo fa sentire vivo. E oggi, con il ritorno in Nazionale, guarda con lucidità e coraggio a un obiettivo che profuma di sogno: Milano-Cortina 2026. Non è solo una storia sportiva. È una storia di identità, di resistenza silenziosa, di fiducia costruita nel tempo. È la dimostrazione che l’abilità non coincide con l’assenza di limiti, ma con la capacità di attraversarli senza smettere di credere in se stessi.

Su Abileconte.it raccontiamo storie come quella di Marco Priolo perché parlano anche di noi. Di tutte le volte in cui abbiamo pensato di essere “fuori gioco”. Di tutte le volte in cui, invece, abbiamo trovato la forza di dire: sono ancora sul pezzo. E finché c’è passione, finché c’è cuore, il traguardo resta possibile. Anche quando sembra lontano. Anche quando nessuno scommette più su di te.

Zheng Tao: quando il coraggio nuota più veloce di tutto

Oltre le etichette: la rinascita di Zheng Tao 

Ci sono Storie che iniziano nel silenzio delle difficoltà e finiscono per diventare voce per milioni di persone. Quella di Zheng Tao è una di queste.

Nato senza braccia, ha conosciuto troppo presto lo sguardo crudele del pregiudizio. Le prese in giro, i soprannomi, le etichette che feriscono più di qualunque assenza fisica. Eppure, dentro di sé, portava un sogno che nessuno avrebbe potuto spezzare: nuotare.

Un sogno immenso, più grande di qualunque limite.

In acqua, Zheng ha trovato il suo spazio, la sua forza, la sua libertà. E nell’arco di pochi anni, quel bambino che veniva bullizzato è diventato un atleta paralimpico capace di riscrivere la storia. A Rio ha conquistato l’oro e stabilito un nuovo record mondiale, trasformando la fragilità attribuitagli dagli altri in una potenza luminosa e indiscutibile.

Oggi è conosciuto come “il nuotatore senza braccia”, la stessa definizione usata per deriderlo da piccolo. Ma il significato è cambiato completamente: non più etichetta, ma simbolo. Non più limite, ma testimonianza.

La sua storia ci ricorda che non siamo ciò che ci manca, ma ciò che scegliamo di diventare.
E che la vera vittoria non è solo una medaglia, ma la capacità di riscrivere il proprio destino anche quando il mondo prova a raccontarlo al posto tuo.

Dalla Discriminazione al Cambiamento: un caso che parla a tutti noi.

Quando una vacanza si trasforma in emarginazione 

Nel marzo del 2023, la famiglia di un giovane di 24 anni, non vedente e con disabilità cognitive  aveva deciso di concedersi una pausa in montagna in Trentino, nella speranza di una vacanza serena. Quel soggiorno però si è trasformato in un’esperienza dolorosa: dopo alcune lamentele da altri ospiti, la famiglia è stata invitata a spostarsi in una “saletta appartata”, lontana dalla sala comune. Un modo chiaro di dire  senza parole  che la presenza di quel ragazzo non era gradita. Per la sua mamma, è stata come ferita al cuore.

Quell’episodio rilanciato dai media e diventato simbolo di discriminazione, ha suscitato un’ondata di indignazione: non si tratta solo di violazione di diritti, ma di un’esclusione dal vivere comune. Una chiusura che non cancella l’amarezza  ma apre una strada. Dopo due anni dalla denuncia, la vicenda si è finalmente chiusa in tribunale, la famiglia  ha rifiutato l’offerta di un risarcimento in denaro preferendo un reale impegno di cambiamento culturale da parte del gestori dell’hotel. La madre del ragazzo ha spiegato che questo percorso culturale non è solo per loro, ma per tutte le famiglie e le persone con disabilità che ogni giorno affrontano barriere invisibili, pregiudizi, esclusione. Accoglienza e rispetto mi sento di aggiungere fanno bene agli altri e soprattutto a noi stessi

Perché raccontare queste storie è fondamentale, perché illuminano quanto spesso l’accessibilità non sia solamente una questione di infrastrutture: è prima di tutto sensibilità, empatia, umanità. Perché azioni concrete come corsi di formazione, codici di accoglienza, pratiche inclusive dimostrano che le ferite aperte dalla discriminazione possono diventare opportunità di educazione e crescita collettiva. Quando una famiglia rinuncia a un risarcimento economico per chiedere rispetto, dignità e inclusione, ci ricorda che l’umanità non si compra. Si costruisce, giorno dopo giorno, con scelte concrete.

 

 

 

Distrofia di Duchenne: La Testimonianza di una Madre

  Famiglie Duchenne: la resilienza quotidiana. La testimonianza di una madre

La distrofia muscolare di Duchenne è una diagnosi che arriva all’improvviso, scuote gli equilibri e costringe le famiglie a reinventarsi. Ma è anche, per molti genitori, l’inizio di un percorso in cui convivono fatica, scoperta e una resilienza che si costruisce giorno dopo giorno. Lo racconta una madre che ho avuto modo di intervistare, la cui esperienza offre uno spaccato autentico di ciò che significa vivere questa realtà. «La disabilità è faticosa, rende la vita complessa e complicata», esordisce senza esitazioni. Ma aggiunge subito un elemento inatteso: «Ti consente di scoprire parti di te che non avresti mai immaginato, di incontrare persone, luoghi, opportunità che non avresti incrociato altrimenti». Nelle sue parole emerge con forza una prospettiva che non nega le difficoltà, ma prova a rileggerle. «Ogni volta che accade qualcosa di negativo cerco sempre un risvolto positivo. Penso che sarebbe potuta andare peggio e mi concentro su ciò che ho, invece che su ciò che la malattia toglie».

Il futuro, per chi affronta la Duchenne, può presentarsi con tinte cupe. Paura, incertezza, preoccupazione accompagnano spesso le prime fasi dopo la diagnosi. Eppure questa madre invita a non farsi travolgere: «Non spaventatevi. Vivete ogni giorno cercando il lato positivo di ogni situazione. Il futuro non sarà così brutto e triste come sembra all’inizio. Anzi, saprà sorprendere». A sostenere la famiglia è anche l’impegno associativo. La donna è attiva in Parent Project, realtà che da anni supporta le famiglie Duchenne. «Il carattere e la forza di mio figlio mi danno speranza, ma anche il lavoro con l’associazione mi aiuta. Mi fa sentire che sto facendo qualcosa per lui, per noi, e per chi non ha la possibilità di partecipare come vorrebbe». La gestione quotidiana resta impegnativa: «Le giornate sono piene e il tempo non basta mai». Nonostante ciò, cerca di ritagliarsi piccoli momenti per sé e per la coppia: «Sono spazi brevi, a volte pochissimi, ma necessari per mantenere l’equilibrio».

Il rapporto con la comunità esterna è un capitolo a sé. Secondo la madre, la solidarietà c’è, ma non sempre emerge spontaneamente. «La maggior parte delle persone è solidale. Ma siamo noi, a volte, a non chiedere aiuto, a chiuderci. E non possiamo aspettarci che gli altri comprendano ciò che non conoscono, se non lo spieghiamo». Proprio per questo la sensibilizzazione diventa un punto cruciale. «Finché non ti tocca da vicino, non puoi immaginare davvero le difficoltà. Io stessa ero così. Per questo il lavoro delle associazioni è fondamentale». Alla domanda su come si guardi al domani, la risposta è sincera: «Sì, ho paura. Ma con il sostegno di mio marito so che ce la faremo». La famiglia, racconta, si regge su un equilibrio dinamico, fatto di pazienza e collaborazione: «Quando uno è più stanco, subentra l’altro. L’unione e la condivisione sono indispensabili. E, col tempo, tante cose si aggiustano». Questa testimonianza mette in luce non solo le sfide della Duchenne, ma anche le risorse che molte famiglie scoprono lungo il percorso: impegno, solidarietà, amore e una forza che si rivela spesso proprio nei momenti più complessi.